Recensioni

COWSPIRACY (2014)

Ultimo aggiornamento: 22 Giugno 2020

Cowspiracy” è il documentario di esordio di Kip Andersen. Con il santino di Al Gore sulla scrivania e i soldi di Leonardo Di Caprio (executive producer), il regista, con il compagno di merende Keegan Kuhn, identifica negli allevamenti di bestiame la principale causa del riscaldamento globale. Sarà vero? Ma per piacere…!

Introduzione

La logica e prevedibile punizione per averla fatta annusare a Stuart D al solo fine di infinocchiargli la recensione di Super Size Me 2 si è completata con l’assegnazione di Cowspiracy di quella sagoma di Kip Andersen, senza alcuna possibilità di rimbalzarla ad altri autori del sito.

E non è finita!“, mi scrive Lucia, coordinatrice dei redattori, “Da adesso recensirai qualsiasi lavoro di Kip Andersen, fosse anche solo una comparsata nei panni di un molestatore in Law & Order – Special Victims Unit!“.

Vabbé. Andiamo su Netflix, cerchiamo questa corbelleria e premiamo il tasto PLAY.

Cowspiracy – il segreto della Sostenibilità

Trailer

Il documentario inizia con le dichiarazioni di Bruce Hamilton (SIERRA CLUB, secondo Wikipedia: “la più antica e grande organizzazione ambientalista degli Stati Uniti“) che annuncia che stiamo rischiando la più massiccia estinzione dai tempi dei dinosauri. Che questa vada interpretata come una bella notizia o una profezia di sventura sta alla sensibilità del lettore.

Il regista e host Kip “Bugiardo Patologico” Andersen è visibilmente scosso dalla notizia, ma disponendo di un budget risibile per il documentario è costretto a tagliare corto: “Senti Bruce, poche palle, dimmi subito qualcosa di terribile sugli allevamenti!“.

Titoli di testa

Kip Andersen si presenta [Ciaaaao Kip! – N.d.A.] ammettendo che l’ispirazione per Cowspiracy nasce dalla visione del documentario “An Unconvienient Truth – Una scomoda verità” di Al Gore. Ma non solo. Ben prima di prendere una cinepresa in mano, il mockumentary dell’ex vice-presidente degli Stati Uniti aveva smosso a tal punto la sua coscienza da diventare in breve tempo un ecologista integralista. Sì esatto, uno di quei rompicoglioni che rovistano nel TUO sacco della plastica e ti urlano: “Ehi! I vasetti di yogurt vanno lavati prima di gettarli! Vuoi farci morire tutti???“. Per dire.

Nonostante avesse cambiato radicalmente le sue abitudini al fine di avere una vita eco-friendly, tra cui anche spegnere le luci quando usciva da una stanza [Genio! – N.d.A.], sentiva di dover fare di più. E come tutti coloro che pensano di salvare il mondo un like alla volta, si è messo a cazzeggiare su Facebook, trollando bacheche altrui e condividendo compulsivamente la qualunque. Fino a che non si è imbattuto nel post di un amico.

Nel post venivano citati i dati presi dall’articolo del 2006: “Rearing cattle produces more greenhouse gases than driving cars, UN report warns“. Ovvero: L’allevamento di bestiame produce più gas serra delle automobili.

La fonte è attendibile (Le Nazioni Unite) e il dato è sconcertante. La base dati è il report della FAO “Livestock Long Shadow“. Il problema è che ben presto ci si è accorti che le conclusioni di questo documento erano minate da pesanti errori metodologici. Ad esempio, per calcolare i gas serra degli allevamenti veniva considerato l’intero ciclo di vita, produttivo e distributivo dell’animale, mentre per l’automobile solo le emissioni dai tubi di scappamento. Senza considerarne, quindi, il ciclo produttivo, di vita, fino allo smantellamento. [fonte: “Cars or livestock: which contribute more to climate change?“]

Ora. Ammesso e non concesso che Kip Andersen, come tutti i sempliciotti, fosse in assoluta buona fede quando ha imbracciato la cinepresa per girare “Cowspiracy”: quale credibilità può avere un documentario che basa il suo intero impianto su una premessa errata?

Ma andiamo avanti.

È chiaro già a questo punto che tutto ciò che avverrà nella successiva ora, fino al termine di questa fiera dei bias cognitivi, sarà finalizzato ad impiantare nello spettatore l’idea che gli allevamenti di bestiame stiano mandando in vacca [oh, l’ironia! – N.d.A. ] il pianeta.

E siccome rompere le palle alla gente che lavora è, come abbiamo già visto in “What The Health“, parte integrante della cifra stilistica di Kip Anderson, segue lungo minutaggio in cui il novello giornalista d’assalto -ovvero Kip seduto comodamente in cameretta di fronte al PC- biasima le tante organizzazioni ambientaliste (la già citata SIERRA CLUB, Greenpeace, WWF ecc) perché nei loro siti internet non fanno menzione dell’impatto ambientale degli allevamenti.

Chiaramente una persona dotata di QI almeno a singola cifra si sarebbe già fatta due domande. Ma non Kip, che ormai sta in fissa: gli va bene il petrolio, gli va bene l’inquinamento, il fracking, ma gli allevamenti NO. È un illuminato, lui.

E andrà fino in fondo alla questione. A costo di, come spesso sempre capita nei documentari propagandistici, barare, nascondere dati, fare cherry picking da studi e report e chiamare in causa solo personaggi palesemente compiacenti e interessati a promulgare il messaggio di fondo del film.

Conflitto di interessi. Level: BOSS

Capitolo Acqua

A Kip, letteralmente, je rode er culo di non essersi lavato per anni [Zozzone! – N.d.A.] per risparmiare acqua quando per produrre un singolo hamburger da 100 grammi sono necessari 2500 litri di acqua.

Il dato è, essenzialmente, corretto e inquietante. Ma totalmente decontestualizzato. La produzione di qualsiasi genere alimentare, animale o vegetale, comporta un elevato consumo di acqua, il cosiddetto “water footprint“, o “impronta idrica“. Se è vero che la carne bovina è quella che ne richiede di più, legumi, come i ceci, non sono molto da meno: 9000 litri di acqua per portarne sulla tavola 1 kg. Idem la frutta secca: le mandorle ad esempio, richiedono oltre 10.000 litri di acqua per 1 kg di prodotto senza guscio. [fonte: http://memepoliceman.com/water-to-make-a-burger/ ]

Dobbiamo aspettare circa 20 minuti prima che Kip Andersen si esibisca in uno dei suoi futuri cavalli di battaglia: la molestia telefonica! (chi ha letto la recensione di What The Health sa!). Per NOSTRA sfortuna, dall’altro capo del telefono trova una persona gentile che gli fissa un appuntamento presso la California Department Water Resource, dove due funzionari illustrano come risparmiare risorse idriche a livello domestico.

Nonostante i due malcapitati dichiarino che l’impatto idrico zootecnico “non è il loro campo di competenza“, Kip li incalza a fornire risposte che non possono dare: non sono autorizzati a giustificare le mancate campagne di sensibilizzazione contro il consumo di carne da parte del governo californiano. Ovviamente: è un complotto.

Anche un bambino capirebbe che se ogni alimento (vegetale o animale) ha un suo water footprint, eliminare il consumo di carne significa aumentare il consumo di altri alimenti, come i legumi o la frutta secca, o le uova o i latticini e, calcolatrice alla mano, il “guadagno” in termini di risparmio idrico non sarebbe così epocale come vorrebbe farci credere il regista.

Veniamo ai dati, quelli pesanti: gli allevamenti sono responsabili per il 51% di tutte le emissioni di gas serra del pianeta!

Intervistiamo una persona totalmente disinteressata…

Addirittura. Questo è il numero che più ha colpito l’immaginario degli spettatori e, presumibilmente, Leonardo Di Caprio (che figura come produttore esecutivo): ha decretato un iniziale successo di Cowspiracy ma è anche stata la causa per cui lo sputazzare sulla copertina del DVD del documentario è in questo momento al vaglio del Comitato Olimpico per renderlo disciplina sperimentale alle prossime Olimpiadi di Tokyo.

Sapete chi ha smentito che gli allevamenti concorrano per il 51% alle attuali sfighe ambientali della Terra? KIP ANDERSON in persona!

Curioso che persino il 18% (quasi 3 volte meno rispetto a quanto dichiarato in Cowspiracy) sia un dato estremamente sovrastimato. Secondo il report: “World Greenhouse Gas Emissions: 2000“, l’intera agricoltura concorre per il 13.5% delle emissioni di gas serra, e isolando le emissioni dei soli allevamenti di bestiame siamo al 5.1%: dieci volte meno rispetto a quanto declamato a gran voce da Kip Andersen.

I 45 minuti che seguono rappresentano la negazione di qualsiasi forma di metodo scientifico e seria indagine giornalistica: verrà data voce solo a interlocutori “favorevoli” alle tesi del documentario e non solo tutti i dati presentati (e solo quelli che fanno comodo al regista) provengono essenzialmente da un unico studio, il già citato Livestock Long Shadow, per altro ritrattato dalla stessa FAO nel follow up: “TACKLING CLIMATE CHANGE THROUGH LIVESTOCK” (Pdf, Eng), ma è chiaro che Cowspiracy non ha come finalità stimolare un serio confronto basato su dati scientifici, ma di sostenere un’utopistica visione di un mondo da cui gli allevamenti di animali devono essere esclusi.

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Come ho scritto sopra, voglio far finta che gli autori del documentario abbiano agito con le migliori intenzioni e in perfetta buona fede; tuttavia, distorcere deliberatamente i dati in questo modo azzera totalmente la credibilità del lavoro e lo trasporta ben oltre il confine della mera propaganda animalista.


Giudizio Critico complessivo: 2/10

Francamente non riesco a salvare nulla di un documentario che fa dello scimmiottare “An Unconvenient Truth” (di ben altro spessore), della propaganda e del cherry picking l’unica sua ragione di esistere. Tecnicamente parlando è, diciamo, la brutta copia di ciò che vedremo in “What The Health“. Velato complottismo, interviste a persone non titolate a rispondere alle domande del regista, molestie telefoniche, dati errati e, a causa sia delle intenzioni che del formato, estrema superficialità.

Qualità tecnica: 6/10

Dato il budget non stellare, le animazioni sono carine ma evidentemente basic e Kip rimane per lo più in California, sua terra d’origine. Il fatto che il quartier generale del regista sia un tavolo con, sullo sfondo, la cucina di casa sua conferisce un’aura di indipendenza al lavoro. No, scherzo, è una poveracciata senza precedenti!

Rispetto per lo spettatore: 0/10.

Avrei, quantomeno, concesso il beneficio del dubbio a Kip se non avessi già visto “What The Health”. Conoscendone il modus operandi, il regista americano si fa forza del fatto che un documentario ben confezionato beneficia di un atto di fiducia da parte dello spettatore, che ben difficilmente farà come noi sfigatissimi debunker, che trasformano 1 ora e mezza di documentario in giorni di ricerche e confronto di dati e fonti diverse.

Il bieco narcisismo di Kip Andersen, inoltre, lo porta alla premeditata mancanza di rispetto di organizzazioni come Greenpeace, tirate in ballo nel documentario in modo strumentale e superficiale, le quali realmente si battono da anni (spesso rischiando la vita) contro allevamenti intensivi e deforestazione.

Plausibilità scientifica: 0/10

Il problema è uno solo, ma determinante. L’intero messaggio di Cowspiracy nasce sulla scorta di un singolo studio della FAO, poi ritrattato dagli autori stessi. Inoltre, report successivi hanno ulteriormente ridimensionato il reale impatto degli allevamenti sulle emissioni di gas serra.


Scheda Tecnica “COWSPIRACY”

Genere: Mockumentary

Durata: 1 h 30′

Regista: Kip Andersen, Keegan Kuhn

Anno: 2014

Scheda IMDB

Audio: inglese

Sottotitoli: italiano disponibile

Distribuzione: Netflix

Giudizio globale: 2/10

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Angela Garella
Veronese DOC, ci tiene a precisare. Esperta di fitness e rimedi naturali. Se volete sapere a cosa serve un integratore... chiedete a lei! ------ Note biografiche disponibili nella pagina Redazione | Tutti gli articoli, ove non espressamente specificato, sono sottoposti a Revisione Scientifica e Fact Checking.
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Dimo

Il paragone tra 1 etto di carne e 1 chilo di ceci è fuorviante