OTC e Integratori

[EDITORIALE] I tre inganni (che funzionano) dei produttori di integratori

Quello degli integratori alimentari è un mercato che non conosce crisi (secondo Federsalus.it muove un mercato in Italia pari a 3,6 Miliardi di euro all’anno): la promessa di essere più magri, più forti e vincere le nefaste conseguenze dello scorrere del tempo è un canto delle sirene irresistibile per un numero sempre crescente di consumatori.

Disclaimer della Redazione

L’editoriale che stai leggendo include considerazioni dell’autore che non necessariamente rispecchiano l’opinione o la linea editoriale di Virtua Salute.

Del resto il target che i produttori di integratori possono arrivare ad aggredire è sterminato e si rinnova di generazione in generazione. Chi ha più di quarantanni si ricorderà lo sciroppo che integrava vitamine del gruppo B che le mamme davano ai figli dopo una malattia infettiva come “ricostituente“; o le perigliose fialette in vetro che contenevano “fermenti lattici vivi” somministrate alla seconda diarrea consecutiva.

Ancora oggi persistono miti che alimentano la vendita di pastiglie e polveri. La Vitamina C, per citarne solo una, vista come rinforzo del sistema immunitario (non un solo studio scientifico che lo confermi) è una bufala che resiste da decenni. Eppure sappiamo, oggi, che anche la Vitamina C presenta effetti collaterali.

In questo articolo spiegherò quali sono i metodi con cui i produttori sfruttano, a proprio vantaggio, una normativa a dir poco compiacente, nonché tutti gli strumenti legali e (quasi) non, per convincere i consumatori a spendere ingenti cifre in pillole e pilloline.

Premessa: gli integratori non sono farmaci

Quella che sembra una banalità [lo è! – N.d.A.] è in realtà il vero punto di forza del marketing degli integratori. Dal punto di vista strettamente legale, e vale sia negli U.S.A. che in Europa, gli integratori sono di fatto “alimenti”.

Pertanto: anche quando promettono effetti sul corpo, come dimagrimento, forza, salute di pelle e organi, o sulla mente, come lenire ansia e stress, non sono soggetti agli stessi controlli e alle stesse validazioni cui sono sottoposti i farmaci.

Tradotto? Per essere commercializzato, un integratore, deve solo garantire che la sostanza non sia velenosa o tossica. Per il resto, non c’è alcun obbligo di titolazione esatta di principio attivo, non c’è alcun obbligo di corrispondenza esatta tra valori nutrizionali dichiarati e quelli presenti effettivamente, non c’è obbligo di trial clinici che ne attestino l’efficacia. E, soprattutto, i “principi attivi” inclusi negli integratori non sono tenuti alla cosiddetta “standardizzazione“.

E per quanto affermazioni troppo clamorose inerenti l’efficacia del proprio prodotto possono, seppur raramente, essere attenzionate dagli Organi che regolano le comunicazioni pubblicitarie, di fatto il mondo degli integratori è una giungla all’interno della quale chiunque può vendere la qualunque.

Scopriamo ora quali sono le tecniche più stronze e, purtroppo, efficaci, con cui i produttori alimentano un business assurdo con la complicità del narcisismo dei consumatori.

1. Cherry Picking (nel senso più ampio del termine)

Il “cherry picking“, in ambito scientifico, è quel bias che porta lo scienziato, il ricercatore o chiunque abbia interessi economici o intellettuali a farlo, a enfatizzare i risultati di una ricerca scientifica che confortano le sue tesi, tacendo o sminuendo le conclusioni che invece la smentiscono.

E’ la fallacia tipica di chi ha qualcosa da dimostrare e lo abbiamo visto, ad esempio, nell’esperimento mirato a misurare il peso dell’anima.

In un contesto commerciale in cui la finalità ultima è VENDERE un prodotto e ILLUDERE il consumatore di aver appena acquistato il Sacro Graal della vita eterna, citare (male) studi scientifici che, ad un attenta lettura, smentiscono i risultati promessi è la tecnica di marketing più diffusa.

2. Tenere in considerazione solo studi su animali (o in vitro)

Organizzare una sperimentazione scientifica seria, su volontari umani, randomizzata in doppio o triplo cieco ha dei costi non indifferenti. Richiede uomini, mezzi e tempo. E i produttori di integratori da un lato spesso non hanno i fondi per condurre ricerche con metodo scientifico, dall’altro necessitano di una benché minima pezza di appoggio , velocemente acquisita, per supportare l’hype che genereranno, a suon di fragorose promesse pubblicitarie, sui loro prodotti.

Quindi l’uso della sperimentazione animale (o, in alcuni casi, su colture cellulari) è: economico, rapido, e può portare lo studio su una rivista scientifica.

Ma vanno fatte due doverose precisazioni, che sfuggono alla maggior parte dei consumatori:

  1. Gli animali non sono esseri umani. Come dicevo nell’articolo “Sperimentazione animale: esistono alternative?“, si scelgono in genere i topi perché costituiscono un modello comune ai tutti i ricercatori del mondo, per facilitare lo scambio di metodi e risultati. Ma ciò che succede ad un topo -che sì, può dare un primissimo input su efficacia e tossicità di una sostanza – non garantisce in alcun modo che quella sostanza produrrà i medesimi effetti su un organismo assai più complesso come quello umano. Nessun risultato, anche il più promettente, ottenuto su animali può essere applicato all’uomo. Primo per problemi di tarare i dosaggi, secondo perché non si ha la fotografia esatta di quelli che potrebbero essere gli effetti collaterali. Ricordate il Thalidomide?
  2. Allo stesso tempo sperimentare su colture cellulari umane (in vitro) può dimostrare che, a livello cellulare, una determinata sostanza può avere un certo impatto o interazione, ma ancor più che nella sperimentazione animale, non può garantire che lo stesso effetto si avrà su una macchina estremamente complessa, fatta di miliardi di tessuti e cellule diversamente specializzate come l’organismo umano.

Insomma, se per i farmaci la sperimentazione animale e in vitro rappresenta solo la prima fase della sperimentazione prima della commercializzazione di un principio attivo, per gli integratori alimentari questi studi scientifici rappresentano una motivazione ben più che sufficiente a immettere sul commercio prodotti che, nella stragrande maggioranza dei casi, non avranno alcun effetto sull’uomo.

3. Gli studi “Compound”.

Ovvio, anche moltissimi integratori alimentari vantano una sperimentazione su umani. Talvolta questi studi confermano l’efficacia della sostanza o la smentiscono. Noi stessi, a fronte di una robusta letteratura scientifica, su umani non abbiamo alcun problema a suggerire e promuovere l’uso di integrazione alimentare. E’ il caso, ad esempio della Creatina, efficace per aumentare forza e massa muscolare, oppure la Spirulina, promettente per la produzione di Ossido Nitrico. Insomma non siamo “contro” a prescindere l’integrazione alimentare.

Gli studi compound rappresentano un’alternativa furbetta e maliziosa agli studi su umani. Queste ricerche, finalizzate spesso a dimostrare l’efficacia di una data sostanza, mixano questa sostanza ad altre di cui già si conosce l’efficacia. Questo perché? Per generare confusione nei risultati rendendo impossibile anche per il lettore attento isolare la reale efficacia dell’integratore se preso singolarmente.

Un esempio tipico e già trattato su queste pagine? I chetoni di Lampone che vantano un interessante studio su umani e che hanno dato buoni risultati per il dimagrimento dei volontari umani che vi hanno preso parte. Il trucco? E’ che i chetoni di lampone furono testati in uno stack (commerciale) che includeva ANCHE capsaicina e caffeina. Quale fu l’impatto dei chetoni di lampone sui risultati? Non è dato saperlo.


In conclusione

In un mondo sempre più connesso, dove le informazioni sono facilmente reperibili [che è però cosa diversa da dire che sono facilmente “comprensibili” – N.d.A.], poter attribuire ad un integratore una certa validazione scientifica è un qualcosa che aiuta, innanzitutto, gli incassi dei produttori: permette una certa libertà di promettere effetti spesso mai dimostrati sugli umani e che spesso sfociano nel “curativo” (e ricordiamo che solo i farmaci propriamente detti possono promettere “cure”).

Il consiglio è SEMPRE quello di stare attenti a ciò che si compra e perché lo si compra. Un integratore può essere efficace per qualcosa, ma completamente inutile per altro. E’ sempre bene affidarsi unicamente alla presenza di studi su volontari umani prima di decidere per l’assunzione di un integratore.

E’, chiaramente, non dimenticarsi mai che QUALSIASI sostanza introduciamo nel nostro corpo, che sia una compressa di Vitamina C o una impepata di cozze, produce sempre una reazione fisiologica. Consultare il medico prima di intraprendere un ciclo di integrazione (qualunque esso sia) è sempre la migliore scelta.

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Pavel Fucsovic
Nato in Croazia ma naturalizzato Italiano, Laureato in Scienze Motorie e raffinato scrittore di brevi racconti. Collabora anche con testate web locali del Nord-Est. ------ Note biografiche disponibili nella pagina Redazione | Tutti gli articoli, ove non espressamente specificato, sono sottoposti a Revisione Scientifica e Fact Checking.
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