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[COVID 19] E se avesse avuto ragione la Svezia? Un nuovo studio ne esamina il “soft-lockdown”

Quando è stato, tristemente, palese che in Europa il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 responsabile del COVID 19 stava diventando pandemico, l‘Italia per prima, poi a seguire tutte le altre nazioni (anche l’inizialmente reticente Regno Unito) si sono chiuse. Lockdown assoluto. Scuole, uffici, fabbriche serrate e tutti a casa. Tranne la Svezia.

Il “Soft” Lockdown della Svezia.

Dopo la dichiarazione di Zona Rossa dell’intera penisola Italiana, nel periodo di maggiore apprensione per l’estrema contagiosità del SARS-CoV-2, due erano gli argomenti “caldi” che tenevano banco nelle discussioni televisive con interventi di esperti virologi e opinionisti pescati a caso da remote edizioni del Grande Fratello: i “runner”, che con grande senso civico Barbara D’Urso si preoccupava di braccare con DRONI e squadroni della morte della Guardia di Finanza… e la Svezia.

Perché la Svezia?

Perché mentre nel resto dell’Europa l’approccio è stato l’Hard Lockdown: “tutti chiusi a casa e muti!” (concesso, tuttavia, cantare l’inno nazionale alle 18.00 sul balcone gridando: “yeeee ci hanno totalmente privati di ogni diritto costituzionale ma andrà tutto beneeeee!!!1111!!!“), in Svezia la pandemia è stata affrontata con un gigantesco: “E sti cazzi del virus!”.

In questa zona della Scandinavia, storicamente famosa per il death Metal melodico e per i suicidi si è optato per quello che si definisce un “SOFT” Lockdown: chiuse università e scuole medie-superiori (frequentate da alunni di età superiore ai 15 anni), l’indicazione ai sintomatici di chiudersi in casa e, agli over 70, l’invito più o meno cordiale di autoisolarsi. Punto. Tutto qui.

E’ seguita, prevedibile, indignazione di tutta la Comunità Europea per questa scelta, reputata a dir poco irresponsabile e incauta.

Ma avranno avuto ragione gli svedesi, ora che la pandemia ha ormai raggiunto e superato il cosiddetto picco e, nonostante i numeri non siano ancora fonte di ottimismo, siamo bene o male tutti ritornati padroni del nostro destino?

Un nuovo studio, “Managing COVID-19 spread with voluntary public-health measures: Sweden as a case study for pandemic control“, pubblicato il 1 Luglio 2020 sulla rivista Clinical Infectious Disease, prova a far luce.

Lo studio

Considerato l’altissimo costo economico e sociale dell’hard lockdown c’è stato un grande interesse per l’approccio svedese. Poiché il virus è altamente contagioso e, in casi gravi, provoca la morte, si è trattato di sicuro di un approccio controverso.

Tasso di mortalità

Al 15 maggio 2020, la Svezia presentava un tasso di mortalità di 35 su 100.000 persone. Significativamente più alto rispetto alle altre nazioni scandinave: Danimarca (9,3) , Finlandia (5,2) e Norvegia (4,7).

Tuttavia, il tasso di mortalità in Svezia è stato inferiore a quello di altri paesi in Europa che hanno optato per l’hard lockdown:

  • Regno Unito: 51/100.000
  • Spagna: 58/100.000
  • Italia: 52/100.000 #andratuttobene

Terapie intensive

Dopo aver analizzato i dati della Svezia, i ricercatori hanno scoperto che il tasso di mortalità effettivo del paese era inferiore alle aspettative, visto il lockdown blando che si era deciso. Invece di avere 40 volte più pazienti in terapia intensiva, come previsto, ci sono stati “solo” cinque volte più pazienti.

I ricercatori si lanciano in una speculazione che ha dell’inquietante. Il Sistema sanitario svedese, che avrebbe potuto andare in sofferenza anche con un carico di posti in terapia intensiva cinque volte superiore al normale (nonostante le previsioni fossero di quaranta volte superiore), ha retto benissimo. Questo, secondo i ricercatori, potrebbe risiedere nel fatto che si è deciso di non ospitare in terapia intensiva i malati over 70, già in auto isolamento domiciliare.

La velocità con cui si è giunti alle prognosi di Covid 19, e le decisioni che sono state prese, hanno contribuito ad un tasso di mortalità inferiore a quello di paesi come l’Italia e hanno preservato funzionalità e posti letto a carico del sistema sanitario.

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Angela Garella
Veronese DOC, ci tiene a precisare. Esperta di fitness e rimedi naturali. Se volete sapere a cosa serve un integratore... chiedete a lei! ------ Note biografiche disponibili nella pagina Redazione | Tutti gli articoli, ove non espressamente specificato, sono sottoposti a Revisione Scientifica e Fact Checking.
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Filippo

Buongiorno Angela, Il modello svedese, in Italia, non sarebbe stato applicabile, per due motivi. Siamo stati il paese più colpito ma non solo, siamo stati il paese più colpito per primo. Chiunque sia venuto dopo aveva l’Italia come caso di studio e poteva decidere se chiudere tutto o solo parzialmente. Inoltre, in Italia abbiamo la cultura del “salviamo tutti”. Ce lo abbiamo nel DNA e, in qualche modo, ne sono orgoglioso. La decisione a tavolino di curare X e non curare Y non saremmo mai in grado di prenderla. E forse è giusto così. Per tutto il resto, sicuramente l’hard… Leggi il resto »

admin

@Filippo

Vero che, in linea di principio, in Italia c’è, e c’è sempre stata, l’etica di curare tutti. Però anche qui in Italia, e già ad inizio Marzo, i medici sono stati comunque costretti alla dolorosa scelta di scindere tra pazienti su cui si poteva provare una terapia e pazienti che invece non venivano curati.
La Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI) dovette pubblicare delle linee guida proprio per regolamentare quello che stava diventando un vero e proprio ostacolo morale per i medici coinvolti in prima linea contro il Covid 19.

John Dimi
Admin Virtua Salute