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[Studio] Diabete tipo 2: gli integratori di vitamina D potrebbero rallentarne la progressione?

Ultimo aggiornamento: 7 Agosto 2019

Nonostante non esista ancora la prova certa (gli scienziati devono ancora dimostrare se la vitamina D può curare o rallentare il diabete di tipo 2), un nuovo studio su persone che hanno recentemente ricevuto una diagnosi di diabete o che sono in fase pre-diabetica che la vitamina D può avere benefici sulla patologia.

Lo scenario di partenza

Nel passato, sebbene si stesse concretizzando la possibilità di una connessione tra vitamina D e diabete, quando gli scienziati hanno esplorato questi risultati con studi randomizzati e controllati, l’associazione precisa pareva non essere confermata.

Uno studio (“Effect of vitamin D replacement on insulin sensitivity in subjects with vitamin D deficiency.” 2012) che reclutò persone con carenza di vitamina D e diabete concluse che gli integratori di vitamina D non migliorarono la sensibilità all’insulina. Altri studi (es: “Effects of 12 weeks high dose vitamin D3 treatment on insulin sensitivity, beta cell function, and metabolic markers in patients with type 2 diabetes and vitamin D insufficiency – a double-blind, randomized, placebo-controlled trial.” 2012) raggiunsero risultati similari e un altro (“Effects of Vitamin D Supplementation on Insulin Sensitivity and Insulin Secretion in Subjects With Type 2 Diabetes and Vitamin D Deficiency: A Randomized Controlled Trial.” – 2017) concluse:

“La supplementazione di massicce dosi di vitamina D-3 a [persone] con [diabete di tipo 2] e carenza di vitamina D non ha modificato la sensibilità all’insulina o la sua secrezione.”

Recentemente, altri ricercatori sono arrivati ​​a conclusioni simili. Tuttavia, molti di questi primi studi si sono concentrati su persone che avevano il diabete da molto tempo o che non erano carenti di vitamina D. Inoltre, molti studi hanno avuto durata breve, solo poche settimane.

Partendo da questo scenario non certo incoraggiante, l’ultimo studio -quello di cui trattiamo oggi- si è concentrato sull’integrazione di vitamina D nelle persone che avevano ricevuto recentemente una diagnosi di diabete o erano a rischio di sviluppare la condizione. Lo studio è durato 6 mesi.

Il nuovo studio: Effects of 6-month vitamin D supplementation on insulin sensitivity and secretion: a randomized, placebo-controlled trial

Lo studio è stato pubblicato sull’European Journal of Endocrinology.

Gli scienziati erano principalmente interessati a misurare la sensibilità all’insulina, ma hanno anche misurato altri fattori, tra cui la secrezione di insulina, la funzione delle cellule beta e la pressione sanguigna.

Lo studio – condotto dal team di ricercatori a Québec City, in Canada – è stato uno studio in doppio cieco, controllato con placebo, che ha coinvolto 96 partecipanti. Nessuno dei volontari stava assumendo farmaci per il diabete e nessuno aveva assunto farmaci che interagiscono con la vitamina D o i supplementi di vitamina D negli ultimi mesi.

I ricercatori hanno somministrato alla metà dei partecipanti 5.000 unità di vitamina D-3 ogni giorno per 6 mesi (circa 5-10 volte la dose raccomandata). Hanno dato all’altra metà dei partecipanti un placebo identico alle capsule di vitamina D-3.

La vitamina D è, infatti, un gruppo di composti. D-3, o colecalciferolo, ovvero la versione di vitamina D che il corpo produce nella pelle in risposta alla luce solare.

Alla fine della sperimentazione di 6 mesi, i ricercatori hanno valutato nuovamente i partecipanti. Hanno concluso che:

“La supplementazione di vitamina D ad alte dosi per 6 mesi ha migliorato significativamente la sensibilità periferica all’insulina […] e la funzione delle cellule beta in soggetti ad alto rischio di diabete o con diabete di tipo 2 di recente diagnosi.”

Hanno anche dimostrato che quelli con la più scarsa sensibilità all’insulina al basale hanno beneficiato maggiormente della supplementazione di vitamina D. Nei partecipanti che erano a rischio di diabete ma non avevano una sensibilità al glucosio compromessa, la vitamina D non faceva differenza.

Tuttavia, i ricercatori non hanno riscontrato benefici in altre misure, tra cui glicemia a digiuno, pressione sanguigna o peso corporeo.

I risultati, comunque, non sono tali da poter essere considerati universali

Anche se questo studio è indubbiamente più ampio di altri similari, è ancora relativamente limitato. I suoi stessi autori notano ulteriori limiti. Ad esempio, i partecipanti sono prevalentemente bianchi, quindi i risultati potrebbero non essere validi per altri gruppi etnici.

In questo studio, solo circa la metà dei partecipanti era carente di vitamina D all’inizio dello studio. Questo perché, in alcuni casi, c’era un ampio divario tra lo screening iniziale e l’inizio dello studio.

Ciò potrebbe aver distorto i risultati. Infatti, quando i ricercatori hanno condotto un’analisi che includeva solo quelli i cui livelli basali di vitamina D erano normali, non c’era differenza nella sensibilità all’insulina tra i gruppi.

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John Dimi
Editore e divulgatore scientifico. Oltre che contributor diretto per il sito, si occupa di fact checking e revisione delle bozze. ------ Note biografiche disponibili nella pagina Redazione | Tutti gli articoli, ove non espressamente specificato, sono sottoposti a Revisione Scientifica e Fact Checking.
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