Ultimo aggiornamento: 26 Settembre 2019
L’alopecia (perdita dei capelli) provocata dai farmaci chemioterapici è, per i pazienti che si sottopongono a terapia, un’ulteriore fonte di sofferenza. Un trauma psicologico, un perenne memento, anche a cure terminate, del tumore che si è sconfitto o che si sta tentando di sconfiggere.
Secondo uno studio condotto dall’Università di Nottingham e pubblicato sulla rivista Cancer Nursing nel 2017 [fonte: “The Role of Hair Loss in Cancer Identity (Perceptions of Chemotherapy-Induced Alopecia Among Women Treated for Early-Stage Breast Cancer or Ductal Carcinoma in Situ“] molte donne sottoposte a mastectomia a causa di un tumore hanno riferito di aver affrontato con maggior difficoltà l’aver perso i capelli rispetto alla perdita del seno. Uno studio più vecchio, “Psychological Sequelae and Alopecia Among Women with Cancer“, afferma che l’8% delle donne arriva a valutare di non sottoporsi a chemioterapia per la paura di perdere i capelli.
Prima di presentare i risultati dello studio “CDK4/6 inhibition mitigates stem cell damage in a novel model for taxane‐induced alopecia” è essenziale, ai fini di una migliore comprensione, fornire qualche spiegazione preliminare.
I taxani (docetaxel e paclitaxel) sono una delle tante classi di farmaci chemioterapici a disposizione degli oncologi per il trattamento dei tumori solidi, al polmone e alla mammella innanzitutto. Altre classi di farmaci sono la gemcitabina, le antracicline, metotrexate, vinorelbina, derivati del platino e derivati del fluoro.
Tra i possibili effetti collaterali dei taxani -così come in generale i chemioterapici- c’è alopecia, nella maggior parte dei casi reversibile ma di lunga durata.
Gli inibitori CDK4/6 sono inibitori selettivi della chinasi ciclina-dipendente, ovvero una classe di proteine che regolano il ciclo cellulare, CDK4 e CDK6. Esistono già come farmaco, sotto il nome commerciale di “Ibrance” (casa farmaceutica: Pfizer), e sono approvati per l’uso terapeutico nei tumori.
La sperimentazione è stata condotta ex-vivo, vale a dire un tessuto prelevato da un organismo vivo (es: un essere umano) e “coltivato” affinché rimanga attivo e mantenga le sue caratteristiche e gli scienziati possano utilizzarlo a scopo di ricerca.
Torniamo allo studio e al perché’, come al solito, sono fuorvianti (e pure un poco indelicati) i soliti proclami trionfali della stampa web generalista. Non solo italiana, va precisato.
Al di là della scarsa copertura della notizia [stiamo per arrivare, non temete! N.d.R.], dai titoli sembrerebbe che è stato definitivamente risolto il problema o che quantomeno si sia a buonissimo punto.
Non è così.
Il contenuto del paper, va detto, non è di immediata comprensione per un lettore che non abbia una laurea in biologia. Tuttavia, a differenza di moltissimi studi, presenta un comodo e semplice bignamino che spiega, in parole povere, le finalità dello studio, la metodologia di sperimentazione e le conclusioni che ne sono tratte:
Quanto sopra, a mio parere, è comprensibile anche con una padronanza dell’inglese intermediate-level. O sbaglio?
Quindi:
Lo studio presenta, innanzitutto, la metodologia con cui -da volontari che hanno firmato consenso informato- sono stati prelevati i follicoli e come sono stati mantenuti attivi (ex-vivo).
Sui campioni di follicoli è stato quindi osservato che le cellule specializzate alla base del follicolo pilifero, che sono fondamentali per la produzione dei capelli stessi e le cellule staminali da cui derivano, sono le più vulnerabili ai taxani, in quanto questi ultimi interferiscono sul ciclo di divisione cellulare.
Successivamente, gli scienziati hanno sfruttato le proprietà di una classe di farmaci chiamati inibitori CDK4/6, che bloccano la divisione cellulare e, come prima scritto, sono già approvati per l’utilizzo terapeutico.
Irrorando i follicoli piliferi con inibitori del CDK4/6, questi si sono dimostrati protetti dagli effetti dannosi dei taxani.
Ma questo è solo il primo passo.
Oltre a ricordare che è stato osservato l’effetto dei soli taxani (una delle diverse classi di chemioterapici), i risultati, notevoli e promettenti, non rappresentano che un primissimo step nella soluzione del problema della caduta dei capelli durante o dopo la chemioterapia. Anche se gli inibitori CDK4/6 esistono già, come farmaco, rimane -per dirne uno- il problema di come farli arrivare, selettivamente e nelle giuste dosi ai follicoli piliferi. I ricercatori suggeriscono che l’applicazione topica [es: crema o lozione N.d.A.] potrebbe essere una strada, ma il tutto va dimostrato in vivo.
[…]the suitability of targeting CDK4/6 to protect against chemotherapy damage in the hair follicle and prevent chemotherapy‐induced alopecia in patients (i.e. via topical administration) remains to be fully elucidated in vivo.
Dal paper, sezione “Discussion”.
E, considerando che siamo agli albori di una possibile fase pre-clinica, potrebbero volerci anni prima di vedere un prodotto specifico sul mercato.