Salute e Dintorni

3 cose che ancora non sappiamo del Coronavirus (SARS-CoV-2)

Ultimo aggiornamento: 6 Novembre 2020

Quando a fine 2019 il SARS-CoV-2 ha iniziato a diffondersi nella zona di Wuhan, in Cina, gli scienziati si sono trovati di fronte qualcosa di completamente nuovo. Non “sconosciuto”, certo, i coronavirus erano già ben noti, ma per certi versi inedito.

E per quanto la ricerca ne ormai abbia isolato le caratteristiche e tracciato le varie mutazioni, rimangono in seno alla Comunità Scientifica almeno tre dubbi che renderanno l’obbligata convivenza col Virus quantomeno problematica, con ondate incontrollate di contagi seguite da periodi di quiete che precedono ulteriori picchi di casi.

1. Se e quanto sono contagiosi gli asintomatici.

In assoluto il nodo più difficile da sciogliere, anche per la materiale impossibilità di testare sul campo l’eventuale contagiosità degli asintomatici: bisognerebbe prendere X soggetti che non presentano sintomi, eseguire un tampone per verificarne la positività e lasciarli liberi di muoversi, tracciandoli, per misurarne l’impatto sui contagi. Ovviamente non si può e la Comunità Scientifica si è scissa in due scuole di pensiero, la prima considera gli asintomatici contagiosi quanto (e in alcuni casi di più) dei sintomatici, mentre altri ritengono che la carica virale degli asintomatici sia molto bassa e quindi non sufficiente a trasmettere la malattia.

Secondo uno studio recente pubblicato su PLOS: “Occurrence and transmission potential of asymptomatic and presymptomatic SARS-CoV-2 infections: A living systematic review and meta-analysis” (Settembre 2020), gli asintomatici, quelli veri -ovvero ZERO SINTOMI- rappresentano il 20% degli infettati.

Questo significa che l’80% degli infettati svilupperà sintomi durante il decorso dell’infezione, da sintomi molto lievi (paucisintomatici) a sintomi più significativi, fino a sintomi gravi tali da richiedere l’ospedalizzazione e la terapia intensiva.

L’attuale posizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) è equidistante da questi due poli:

Available evidence from contact tracing reported by countries suggests that asymptomatically infected individuals are much less likely to transmit the virus than those who develop symptoms. A subset of studies and data shared by some countries on detailed cluster investigations and contact tracing activities have reported that asymptomatically-infected individuals are much less likely to transmit the virus than those who develop symptoms.

FONTE

Le evidenze ad oggi disponibili, derivanti dal tracciamento dei contatti riportato da varie nazioni suggeriscono che gli individui infetti ma asintomatici hanno molte meno probabilità di trasmettere il virus rispetto a quelli che sviluppano sintomi. Un sottoinsieme di studi e dati condivisi da alcuni Paesi in base a indagini dettagliate sui cluster e attività di tracciamento dei contatti ha riportato che gli individui infettati in modo asintomatico hanno molte meno probabilità di trasmettere il virus rispetto a quelli che sviluppano sintomi.

Traduzione nostra.


Da quanto sopra, il WHO non parla di capacità di contagio bensì di maggiori o minori probabilità.

Considerando, tuttavia, che gli asintomatici non rappresentano la fetta più grossa degli infetti e che moltissimi contagiati svilupperanno sintomi lievi, tali da (auto)considerarsi “asintomatici” e continueranno a svolgere le attività quotidiane, relazioni sociali incluse, è vitale che CHIUNQUE continui ad osservare la sacra trinità di questa pandemia: Mascherina, distanziamento sociale e igiene delle mani — ma anche di tutto il corpo, dei vestiti e dell’ambiente domestico e di lavoro.


2. Quanto durano gli anticorpi di chi guarisce dal COVID-19

A inizio pandemia, i pazienti che guarivano dal Covid-19, oppure coloro che a seguito di un sierologico si scoprivano in possesso degli anticorpi IgG atti a contrastare il virus, si riteneva potessero essere in possesso di una “patente di immunità“.

Esempi recenti di re-infezione da Covid, nonché studi recenti, tra cui questo, che ha verificato un abbassamento progressivo degli anticorpi dopo essere guariti dal Covid-19 stanno portando alla ragionevole certezza che l’infezione da SARS-CoV-2 non sia un evento una tantum nella vita del soggetto.

La primissima implicazione di questa certezza è intuitiva: il concetto di “immunità di gregge”, limitatamente a questo virus e alle sue mutazioni, potrebbe essere largamente utopistico.

Inoltre decade la valenza di quanti (e sono molti) negli ultimi mesi hanno invocato un’infezione di massa e “… al resto penserà la selezione naturale“.

Per quanto ne sappiamo oggi, la re-infezione da Covid-19 è possibile e gli anticorpi che si sviluppano dopo la guarigione non sono eterni, ma hanno una durata variabile tra i 3 e i 6 mesi a seconda dell’età e delle condizioni di salute generale del soggetto.

Per arrivare ad una certezza scientifica serviranno anni e altri studi (quello sopra citato è minato da forti limitazioni, ad esempio). E questo rende ancor più complicato convivere col virus, presumibilmente per i prossimi 2-3 anni.

3. Se il vaccino -quando sarà- fornirà immunità anche da successive mutazioni del virus.

Inutile nascondersi dietro personali ideologie, fazioni politiche, allarmismi e negazionismi. Questo incubo (forse) terminerà con la disponibilità di un vaccino efficace.

E qui presentiamo un articolo-revisione pubblicato 4 giorni fa, 27 Ottobre 2020, sul prestigioso The Lancet [e non fate facile ironia su un paper sui vaccini che esce sul The Lancet, grazie! – N.d.R.]: “What defines an efficacious COVID-19 vaccine? A review of the challenges assessing the clinical efficacy of vaccines against SARS-CoV-2

Se assumiamo come vere le considerazioni di cui al punto 1 (Non è dato sapere quanto realmente contribuiscono alla diffusione del contagio gli asintomatici) e al punto 2 (Non è dato sapere quanto dura l’immunità da COVID-19 di chi è guarito), un vaccino efficace deve presentare le seguenti caratteristiche:

  • Efficacia su almeno il 50% dei soggetti che si sottopongono alla vaccinazione (per un termine di paragone: il classico vaccino antinfluenzale ha un’efficacia nel ridurre i rischi di contagio tra il 40% e il 60%). La soglia minima del 50% è raccomandata da linee guida internazionali ma potrebbe persino non essere sufficiente (Fonte).
  • Disponibilità contemporanea su una larga fetta di popolazione. Ammesso e non concesso che le primissime dosi saranno disponibili a Dicembre 2020 (non impossibile, ma molto difficile) è già stato annunciato che non ce ne sarà per tutti, con un numero di vaccini limitati ed equamente diviso tra le varie nazioni richiedenti. I primi vaccini disponibili saranno somministrati a categorie a rischio e operatori in prima linea nel contenimento del virus. Ok, assolutamente legittimo. Ma se partiamo dal presupposto che gli anticorpi contro il SARS-CoV-2 non sono permanenti, c’è il rischio che quando sarà disponibile un nuovo lotto di vaccini molti dei primi vaccinati, specie i più anziani, saranno nuovamente scoperti. Quindi che si farà? Si rivaccineranno i primi?
  • Il virus sta mutando. Un articolo di Settembre 2020 pubblicato su NatureThe coronavirus is mutating — does it matter?” si pone il dubbio che per quanto finora le varie mutazioni del virus non lo abbiano stravolto significativamente, in futuro potrebbero, ritrovandosi di fronte un coronavirus di fatto nuovo. In particolare preoccupa la mutazione D614G (Fonte: Spike mutation pipeline reveals the emergence of a more transmissible form of SARS-CoV-2 – Studio in pre-print).

La preoccupazione, concreta, è che per quanto la mutazione del virus sia relativamente lenta, rispetto ad esempio al virus dell’HIV, potrebbe comunque essere più veloce della ricerca e della sperimentazione di un vaccino efficace.

Aggiungiamo – ma è un’osservazione fatta anche nell’articolo sul The Lancet, che la disponibilità di un vaccino, in questo preciso momento storico, conferirebbe al “primo arrivato” (ma anche al secondo eh?) un enorme potere economico e politico, è quindi essenziale che qualsiasi vaccino che prometta efficacia contro il COVID-19 sia testato secondo scrupolosi metodi scientifici indipendenti al fine di garantirne non solo l’efficacia ma anche la sicurezza.

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John Dimi
Editore e divulgatore scientifico. Oltre che contributor diretto per il sito, si occupa di fact checking e revisione delle bozze. ------ Note biografiche disponibili nella pagina Redazione | Tutti gli articoli, ove non espressamente specificato, sono sottoposti a Revisione Scientifica e Fact Checking.
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