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…e come cura un Animale Domestico? La Scienza dice di sì!

Da quando è stata definita negli anni ‘60, la Pet Therapy (P.T.) ha visto aumentare il proprio utilizzo a fianco di anziani, bambini, portatori di handicap e non solo. Ultimamente la P.T. ha ottenuto ulteriori riconoscimenti di credibilità, parallelamente al crescere delle evidenze scientifiche e la sua notorietà è confermata da come siano oltre 770 milioni i risultati che si ottengono su Google (!!) e ben 25.000 nella sola Libreria di PubMed ricercando il termine Pet Therapy. In questa ultima libreria, però, bisogna considerare anche l’interferenza di uno delle 2 parole che può avere anche più significati (PET indica anche un importante esame diagnostico: la Tomografia ad Emissione di Positroni).

Non solo ma la Pet Therapy è stata riconosciuta anche come una Terapia, anche se da poco ha cambiato il proprio nome in IAA (Interventi Assistiti con gli Animali). In contemporanea sono state emanate le prime Linee Guida Nazionali relative al suo utilizzo.

Già i lavori di ricerca presentati, a Tokyo nell’ottobre 2007, all’XI conferenza dell’International Association of Human-Animal Interaction Organizations, avevano sottolineano il ruolo della mediazione dell’animale nel determinare:

  1. Aumento della sopravvivenza dopo un evento acuto cardiaco,
  2. Diminuzione della pressione arteriosa, della colesterolemia e della trigliceridemia,
  3. Aumento delle percezioni positive della qualità della vita;
  4. Minor numero di visite mediche;
  5. Diminuzione del senso di depressione
  6. Aiuto terapeutico per i pazienti che non sono in grado di verbalizzare in ambiente psichiatrico, per i bambini autistici, per i pazienti colpiti dal morbo di Alzheimer, da disturbi neurologici e per persone costrette su una sedia a rotelle.

In realtà molti sono i rilievi epidemiologici o sperimentali (o come review) presenti in letteratura, molti dei quali riguardanti il sistema cardio-circolatorio. È del 1977 lo studio di Erika Friedmann su persone che hanno superato un infarto cardiaco, studio che ha rilevato come esistesse una correlazione positiva tra la loro sopravvivenza e il possesso di animali da compagnia.

Attualmente vari sono gli animali utilizzati nella P.T., ma sicuramente sono i cani quelli che hanno avuto il maggior risultato e questo per numerose ragioni. Innanzitutto sono animali molto socievoli, in grado di dare un amore incondizionato, a tutti, indipendentemente dall’età, dal sesso, dall’apparenza, dalla salute e dal ceto sociale. I cani, inoltre, sono facilmente addomesticabili (anche nel realizzare non facili azioni a favore di disabili), comunicando con l’uomo sia attraverso la comprensione del linguaggio verbale umano che quello non verbale o gestuale. Mediante la loro propensione al gioco e alla compagnia, i cani sono facilmente in grado di stimolare i Pazienti all’interazione. I cani, inoltre, non giudicano, generalmente si lasciano accarezzare e presentano una tale varietà di razze e taglie da poter permettere un’ampia scelta sull’esemplare da utilizzare a seconda delle caratteristiche di autonomia del Paziente che necessita dell’aiuto. Generalmente si è portati a chiedere quale sia la razza di cane più adatta per la P.T., dimenticandoci come anche negli animali conti maggiormente il singolo esemplare rispetto alla razza e quindi si potrebbe erroneamente credere che un cane sia ideale per gli scopi prefissati solo perché di una certa razza. In generale la scelta dovrebbe ricadere su cani di buona indole, risultando invece da escludere animali individualmente aggressivi, con instabilità caratteriale tipica di alcune razze nonché quelli utilizzati per combattimenti e sorveglianza.
Altri animali utilizzati sono il gatto, l’asino, il cavallo (è a tutti nota l’ippoterapia), mentre minori evidenze scientifiche sarebbero attribuite alle Terapie con i delfini.

Esistono comunque molti pregiudizi su tale Terapia, specie in Italia, ove vige ancora una paura immotivata sul ricorso agli animali , legata principalmente al timore di diffusione di malattie, pericolosità od irritabilità degli animali ecc.

In realtà trattandosi una Terapia, anche in questo caso si definiscono indicazioni, controindicazioni, tempi e modalità di somministrazione ecc. Quello che però la differenzia dalle altre Terapie è l’oggetto del proprio trattamento, vale a dire la Qualità di Vita, vero e proprio “sintomo” il cui miglioramento può fare la differenza. La P.T non potrà certo sostituire le altre Terapia Mediche, bensì potrà integrarsi con esse, puntando però proprio su tale “sintomo”, spesso ancora poco influenzato dalle altre Terapie.

Chi ne beneficia maggiormente? Certamente i bambini ma anche e soprattutto gli Anziani, sia quelli ancora in gamba ma anche, e soprattutto, quelli affetti da disturbi cognitivi, magari già inseriti definitivamente in Strutture Assistenziali.

La segnalazione di oggi arriva da una prestigiosa Rivista Medica (Circulation Cardiovascular Quality and Outcomes) del Gruppo di Riviste AHA/ASA Journal.

Quali i presupposti della ricerca, finalizzata all’individuazione di una eventuale correlazione tra possesso di un cane e tasso di sopravvivenza?. La proprietà del cane è sempre stata associata, in letteratura, a un ridotto rischio cardiovascolare. Reports anche non  recenti hanno suggerito un’associazione di compagnia di cani con livelli di pressione sanguigna più bassi, miglioramento del profilo lipidico e diminuzione delle risposte simpatiche allo stress. Tuttavia, non è chiaro se la proprietà del cane sia associata a una migliore sopravvivenza poiché studi precedenti avevano prodotto risultati incoerenti. Pertanto, gli Autori hanno eseguito una revisione sistematica e una meta-analisi per valutare l’associazione della proprietà del cane con la mortalità per tutte le cause, con e senza patologie cardiovascolari precedenti e mortalità cardiovascolare.

Quali i risultati della ricerca bibliografica? Sono stati inclusi dieci studi che hanno prodotto dati da 3 837 005 partecipanti (530 515 eventi; follow-up medio di 10,1 anni). La proprietà del cane è stata associata a una riduzione del rischio del 24% per mortalità per tutte le cause rispetto alla non proprietà, con 6 studi che hanno dimostrato una riduzione significativa del rischio di morte. In particolare, in soggetti con precedenti eventi coronarici. Inoltre, quando sono state limitate le analisi ai soli studi di valutazione della mortalità cardiovascolare, la proprietà del cane ha conferito una riduzione del rischio del 31% per morte cardiovascolare.

Quali le conclusioni ? La proprietà del cane è risultata essere associata a un minor rischio di morte a lungo termine, che è probabilmente guidato da una riduzione della mortalità cardiovascolare.

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Giancarlo Giuliani
Medico Specialista in Medicina Interna e Formatore per le Professioni Sanitarie - Lavora in Reparto medico ad indirizzo Geriatrico - Esperto di Diagnostica Vascolare e Terapie Non Farmacologiche.
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